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È vero amore solo se c’è tormento

Le idee sbagliate sull'amore della dipendente affettiva | Dipendiamo.blog

Esiste una motivazione di origine sociale che ci permette di comprendere come mai, la dipendenza affettiva, si sviluppi prevalentemente in ambito femminile.
Da millenni la società impone la “devozione amorosa” come la virtù massima che una donna debba possedere per sentirsi realmente donna.
Ancora oggi, la donna viene educata ad amare l’altro in modo assoluto, quasi in virtù di un vero e proprio annullamento di sé che rappresenta quasi il proprio test di femminilità.
Dai racconti delle mie pazienti emerge sempre la presenza di una mamma che le ha incoraggiate e rendersi “servizievoli e sacrificali” come strategie per tenere legate a sé il partner.

“Mia mamma mi ripeteva spesso che avrei dovuto domare il mio carattere e diventare meno esigente…altrimenti avrei rischiato di non trovare mai un uomo che volesse sposarmi” Francesca, 34 anni.

Senza questa abilità di rendersi “amabile”, una donna non si sentirebbe tale… Per cui se un uomo la rifiuta la sua identità di genere è distrutta.
Nelle situazioni peggiori vi è persino un incoraggiamento a tollerare forme di sopruso e di violenza da parte dell’uomo.

Ecco una scena illuminante tratta dal film “La verità è che non mi piaci abbastanza” che evidenzia come spesso, fin dalla più tenere età, la donna venga incoraggiata a “normalizzare” comportamenti negativi da parte dell’uomo.

La cultura finora ha continuato a promuovere un concetto inadeguato dell’amore, assegnando alla donna la triste responsabilità di far funzionare la relazione e così, fin dall’infanzia, il mondo femminile è permeato da messaggi che la portano ad interiorizzare una visione dell’amore come totalizzante e sacrificale, un amore che va mantenuto a discapito della propria individualità.

Se questo discorso vale per tutte le donne in generale, la situazione è ancor più grave per la dipendente affettiva che solitamente vive all’interno di un contesto familiare che le ha trasmesso un modello d’amore “sbagliato”.
Vediamo insieme quali sono le concezioni “erronee” sull’amore che guidano la dipendente affettiva nelle relazioni amorose.

“Non sono una ninfomane, piuttosto una ninfo-romantica;
se non ho una storia d’amore intensa mi inacidisco,
divento insopportabile e aggressiva… la vita diventa
noiosa… ho bisogno di emozioni forti e pensare che vale
la pena vivere. L’unico problema è che non sopporto le
conseguenze di una vita così, perché ogni volta
va a finire male”.
Da Francois Xavier Poudat, 2006

Le dipendenti affettive si sentono attratte da uomini che generano in loro tormento. Uomini “oscuri”, uomini emotivamente lontani; uomini sofferenti dal passato problematico; uomini non soddisfatti della vita che esprimono disagio; uomini inaffidabili che non riescono ad avere una vita affettiva stabile.

Uomini che consentono alla donna di attivare l’”Io ti salverò” tipico della dipendente affettiva.

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Questa tipologia di maschi innescano in lei la sfida “Io riuscirò a farmi amare da te”.
Sono uomini che si “prestano” a distrarre la dipendente dal suo mondo interiore, invitandola a riporre tutte le sue energie nella cura del partner.
L’altro diventa “il mezzo” per esprimere il proprio valore:

“Ero convinta che standogli sempre vicino, incoraggiandolo, rinunciando a tutto per lui, sarei riuscita finalmente a renderlo felice…” Ludovica, 47 anni.

Se l’altro “guarisce” la dipendente affettiva sente di avere un valore.
Ma non accade quasi mai.
Solitamente, dopo anni di dedizione e logorio, la dipendente si rende conto di come il suo amore “non basti”.
Spesso è l’uomo stesso a lasciarla sentendo la necessità di uscire da una stagnante dinamica che gli impedisce di prendere in mano la propria vita, poiché, la donna al suo fianco tende a sostituirsi a lui.

“Dopo anni di annullamento totale per compiacere le sue esigenze, mi ha lasciato dicendomi che io gli impedivo di vivere…e ora mi ritrovo completamente sola e svuotata” Rosa, 37 anni

Uno degli obiettivi più importanti da perseguire nel percorso di terapia sia individuale che di gruppo, consiste nell’aiutare la dipendente affettiva ad apprendere una nuova concezione dell’amore, ovvero che “l’amore è molto semplice”

Quando la relazione funziona avviene tutto in modo molto naturale, senza paure o ricatti emotivi.
Nell’amore sano non ci sono sfide insormontabili da superare, fatiche indescrivibili da sopportare o ruoli da brava donnina da attivare per essere ricompensate con l’affetto dell’altro.

L’amore “vero” rende felici e liberi.

Gli unici ingredienti davvero fondamentali per mantenere nel tempo una relazione gratificante sono l’accettazione dell’altro così com’è e l’autenticità, anche nell’espressione dei propri bisogni.
Questo non significa che la coppia non attraversi mai momenti critici, che sono parte di ogni percorso di vita.
Ma i momenti di difficoltà di una coppia sana hanno una fase limitata del tempo e non vanno equiparati ai rapporti di dipendenza che si nutrono di malessere quotidiano.
La scelta dell’altro nella propria vita ha senso se, e solo se, l’altro ci porta gioia agevolando lo sviluppo della nostra persona.
Tutto il resto non è amore, ma dipendenza.

Uno dei primi obiettivi del percorso terapeutico, sia individuale che di gruppo, consiste nell’aiutare la dipendente affettiva ad apprendere un nuovo concetto dell’amore. Ovvero l’idea che per essere “vero amore” la relazione non debba essere

Maria Chiara Gritti: Psicologa e psicoterapeuta a Bergamo, esperta nel trattamento della dipendenza affettiva, da anni conduce gruppi terapeutici sulla love addiction. Ideatrice di un percorso di guarigione innovativo sulla dipendenza amorosa, tiene corsi di formazione rivolti a psicologi per diffondere l'applicazione del suo metodo di intervento. www.psicologobergamo.com
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