Quando incontro i genitori in consultazione, l’aspetto che mi colpisce è come ci sia un fraintendimento diffuso su cosa significhi amare i figli e cosa significhi educarli.
Assisto sempre più alla sovrapposizione dei due concetti, come se per crescere un figlio bastasse l’amore incondizionato.
Ovviamente l’amore sano e disinteressato è la condizione fondamentale per lo sviluppo psico affettivo, ma non può essere l’unico ingrediente in quanto l’esito paradossale è che i figli non si sentono affatto amati.
L’amore sano si trasmette con i limiti
“Alla sera inizia la guerra del cibo. Io gli chiedo cosa vuole mangiare e dopo 20 minuti non abbiamo ancora raggiunto un accordo! Più che lasciarlo scegliere cosa dovrei fare?”
I bambini vengono messi di fronte a un compito per loro impossibile: decidere per sé stessi cosa è meglio. Il genitore, in nome di una illusoria libertà e di una ancor più illusoria competenza del bambino, si toglie dal ruolo di guida, di cornice e contenitore. Il bambino lasciato in balia del proprio istinto non è in grado di scegliere e sentirà l’angoscia di essere lasciato solo di fronte a delle richieste troppo grandi. Il risultato saranno capricci infiniti e comportamenti oppositivi, con i quali il bambino cercherà inconsapevolmente di richiamare il genitore al suo ruolo di figura autorevole (nb. non autoritaria).
“Quest’anno abbiamo cambiato già 4 attività sportive. Dopo qualche settimana si annoia e cerchiamo qualcosa che gli piaccia di più ma la storia non cambia. Del resto non vorrei mai fargli fare qualcosa per obbligo!!”
La stessa cosa succede quando i genitori non riescono a dare limiti agli atteggiamenti negativi. Di fronte a comportamenti inaccettabili l’adulto si sente impotente e disarmato in quanto la punizione è vista come la massima espressione della propria cattiveria. Ci saranno, allora, urla infinite e minacce che non si tradurranno mai in azioni. Il vissuto di questi bambini è quello di contare così poco da non valere nemmeno la pena che i genitori li mettano in castigo.
Tu mi amerai!
Alla base di questi comportamenti vi è spesso la necessità da parte dell’adulto di sentirsi amato dal proprio figlio. Viene meno la capacità di essere figure autorevoli perché si ha paura che imponendo regole e divieti il bambino possa vedere il genitore come cattivo e questo risulta intollerabile. Si cerca, allora, di essere complici dei propri figli, genitori-amici, innalzando a supremi valori l’amore e l’affetto, non i valori morali e le regole. La famiglia diventa il luogo per eccellenza dove si coltivano e valorizzano i sentimenti, dando corpo a quello che è un vero e proprio tradimento nei confronti dei figli: la creazione di un’illusoria onnipotenza dove “tutto quello che vuoi puoi” che ben presto si infrangerà contro gli scogli delle regole socialmente imposte, a partire dalla scuola e dal gruppo dei pari.
Narcisismo come difesa dal senso di “non valere”
Avremo così bambini che in seno alla famiglia impareranno ad essere trattati come dei piccoli re ma che contemporaneamente percepiranno la fragilità dei propri genitori. Svilupperanno allora un intimo senso di disvalore, una falsa autonomia, che maschereranno, persino a sé stessi, con comportamenti tirannici e onnipotenti. Il rischio maggiore è che quando riceveranno i primi “NO” da figure esterne alla famiglia non saranno in grado di tollerarne l’impatto emotivo. Il divieto non verrà vissuto come normale rifiuto di un comportamento o una richiesta non accettabile, ma come indice del proprio valore come persona: anzichè pensare “se mi dicono no questa cosa non posso farla/ottenerla/” ci sarà il vissuto “se mi dicono no allora io non valgo”.
Se vogliamo veramente rendere autonomi, sicuri di sé e felici i nostri figli iniziamo a porre piccole regole e soprattutto a farle RISPETTARE, senza sentirci pessimi genitori. Sicuramente i bambini si arrabbieranno, ci potranno anche dire “brutti e cattivi”, ma non bisogna spaventarsi anzi! Impareranno che si può ricevere un no e nonostante ciò essere sempre DEGNI DI AMORE.