Lasciarsi accadere nei laboratori di Arteterpia
Nei laboratori che conduco, parte essenziale del processo è quella di scegliere ciò che ci fa stare bene: la dimensione del foglio, la sua forma, nonché gli strumenti che si desiderano usare: pennelli più rigidi per dare una direzione o un segno più preciso, pennelli più morbidi per sentire una maggiore morbidezza.
È bene ascoltare anche i materiali: gessi impalpabili e delicati, pastelli ad olio vivaci e pastosi, acquarelli sfumati dalle atmosfere acquatiche, e via dicendo. Ogni materiale porta la sua qualità e la sua energia, sta a noi sentire cosa è più in armonia col nostro sentire e con i nostri intenti.
Una volta scelti i materiali che più ci corrispondono, dovremo però lasciar fare un pò al dipinto: ogni immagine ha una sua vita interiore, che solo in parte dipende da noi e da quanto la possiamo governare. È fondamentale quando si crea porsi in un atteggiamento di apertura, per permettere alle immagini che ci abitano di farsi note in modo autentico, vitale, spontaneo.
Spesso il tentativo di governare troppo il processo porta a immagini magari belle, ma poco espressive, con una quota di autenticità molto bassa. Manca la vitalità del gesto, la vivacità improvvisa del colore, mancano gli imprevisti e le deviazioni di rotta, il perdersi, lo smarrirsi.
La creazione di un opera per imparare a mettersi in gioco
Quante volte dipingendo si perde la direzione iniziale: avevamo un’idea, così precisa e bella nella nostra testa, ed eccoci a vagare nell’ignoto di forme e colori che non avevamo previsto… a volte il foglio si buca, troppa acqua, troppo colore, la linea che volevamo netta si scioglie, qualcosa non va (per fortuna) “secondo i nostri piani”.
È solo a quel punto che il processo creativo entra davvero nel vivo, è solo in quel luogo di incertezza che possiamo metterci in gioco veramente, e stare a vedere dove il dipinto ci conduce. Ma ad una condizione: se, e soltanto se, non fuggiamo a gambe levate. Se restiamo a vedere cosa accade, lasciandoci a nostra volta accadere.
La creazione di un’opera è – al pari di una relazione – una ricerca di se stessi verso se stessi; non c’è distinzione tra chi crea e chi viene creato: se scelgo un colore, vengo scelto; se tocco un pezzo di creta vengo toccato. Se creo, vengo creato.
Solo in questo modo, aprendoci alla vulnerabilità dell’essere nuovamente toccati, colorati, sporcati, è possibile creare qualcosa di vitale, gioioso, vivificante. Solo a quel punto potremo sperimentare una nuova forza, una nuova stabilità, e con loro una nuova capacità di fluire.
Il troppo governare porta all’annichilimento del desiderio, al torpore delle emozioni, al blocco dell’energia creativa stessa, che per definizione non può essere ingabbiata in preconcetti o difese. Se vogliamo Bellezza, dobbiamo accettare che la Bellezza ci tocchi, e rispondere con Forza e Vulnerabilità al suo rinnovato richiamo.
“Esattamente come il quadro ha fatto me nel mio dipingerlo esce e si proclama vita. Allora io sto lì in gratitudine e dico: che meraviglia, da dove sei venuto tu?” (William Congdon)