Quante volte ci siamo donate senza ascoltare i nostri veri bisogni? Quante volte ci siamo dette, anche inconsciamente:
“Sarò così brava e così presente che non potrà fare a meno di me, non mi abbandonerà!”.
Le storie di Dipendenza Affettiva si muovono più o meno tutte intorno a questi circoli viziosi. Ricercando l’amore che riteniamo di non aver avuto a sufficienza nel passato, ci annulliamo per gli altri nel presente, perché non ci abbandonino o comunque non ci facciano provare nuovamente quel vuoto che una relazione finita può provocarci. In questo modo, però, si generano esperienze di mancato equilibrio tra ciò che doniamo e ciò che riceviamo, esperienze che, a lungo andare, possono rivelarsi estremamente distruttive.
La società in cui viviamo, poi, se non mettiamo i bisogni degli altri prima dei nostri, ci insinua costantemente sensi di colpa. Risultato: la perdita totale di ciò che siamo.
La storia di Arabella nel libro “La principessa che aveva fame d’amore” racconta proprio di questa malsana vocazione al sacrificio che, tra l’altro, ci espone, nel tempo, ad un rischio altamente maggiore di essere abbandonati e di non avere nemmeno la stima di coloro per i quali ci siamo annullati.
Come ci ricorda il manifesto di Charlie Chaplin:
Quando ho cominciato ad amarmi davvero, mi sono liberato di tutto ciò che mi tirava verso il basso allontanandomi da me stesso; all’inizio lo chiamavo “sano egoismo”, ma oggi so che questo è “l’amore di sé”.
Per meglio spiegare e rappresentare questo concetto, voglio utilizzare l’albo illustrato “L’aggiustacuori” di Arturo Abad e Gabriel Pacheco (Logos Edizioni), il quale ci mostra quali possono essere le conseguenze della perdita di reciprocità nelle relazioni.
Infatti, l’aggiustacuori ci apre le porte di un laboratorio meraviglioso in cui non si aggiustano scarpe né ombrelli, dove non si restaurano mobili e non si rammendano pantaloni. Con la cura tipica dell’artigiano, infatti, Mattia ripara cuori spezzati. Ma il suo lavoro non ha nulla a che vedere con quello di un cardiologo…