Uno dei pensieri più profondi e costanti nella vita della dipendente affettiva è la sensazione che la mancanza di un uomo al proprio fianco le svilisca e che, in un certo senso, la privi della possibilità di avere un’esistenza piena e appagante.
La sua autostima amorosa resta inevitabilmente legata all’idea di “saper” tenere legato a sé un compagno.
Valgo solo con un uomo al mio fianco
Le dipendenti affettive imparano fin da piccole a percepire se stesse solo se sono in “relazione a qualcuno”. Il loro benessere dipende soprattutto dal sentirsi parte di un rapporto e dal prendersene cura.
Da questo deriva la sensazione di non sentirsi adeguate qualora non si tessono e mantengono legami.
“Quando guardo altre donne sposate mi domando perché io non sono riuscita tenermi un uomo… mi domando che cosa abbiano le altre che io non ho”. Giovanna, 36
Le parole della mia paziente Giovanna pongono in evidenza il senso di sconfitta e fallimento derivanti dall’essere “ancora” single e di come attribuisca a se stessa la responsabilità della riuscita o meno del rapporto.
Emerge inoltre la tendenza a a confrontarsi con altre donne che ai suoi occhi appaiono “vincenti”, come se il valore di una femmina venisse misurato in termini di riuscire essere “scelta” da un uomo.
Autostima amorosa: la “trappola” dell’uomo giusto
La dipendente affettiva cade quindi nella trappola di “dover trovare l’uomo giusto per essere felice” .
Nutrire l’aspettativa che la felicità risieda quasi esclusivamente nella relazione, “intrappola” sia la dipendente affettiva che si illude di trovare nell’altro la soluzione alle proprie lacune interiori, sia il partner al quale viene attribuito il “potere” di dare valore.
Con queste affermazioni non si intende negare l’importanza e la ricchezza di vivere all’interno di un rapporto di coppia. Abbiamo tutti bisogno l’uno dell’altro.
Desiderare una vita di coppia serena è sano e fisiologico…
Pensare invece di avere valore solo se si riesce ad avere un partner è un pensiero malsano e distruttivo.
Questa errata convinzione porta spesso le dipendenti affettive ad investire così tante energie nelle relazioni amorose al punto di trascurare drammaticamente la capacità di dedicarsi allo sviluppo personale oppure può condurre a svalutare aspetti di vita importanti che vengono dati per scontati.
“La mia laurea a pieni voti, essere manager di un’azienda, aver comprato casa…per me sono cose “scontate” che non mi danno benessere…il mio pensiero va sempre al fatto che ancora non sono riuscita a trovare un uomo che mi ami. Penso di non valer poi così tanto se gli uomini che scelgo poi mi abbandonano…” Elisa, 38
Elisa, come molte altre dipendente affettive ha un intelligenza brillante ed è stata capace di raggiungere molti traguardi importanti; tuttavia le sue fatiche quotidiane e le conquiste fatte non riesco a restituirle un senso di valore perché, come lei stessa ammette, l’unica cosa che potrebbe farla sentire veramente realizzata consisterebbe “nel sentirsi scelta da un uomo”.
Come uscire dalla trappola?
In primo luogo è necessario contrastare il pensiero di essere le sole “responsabili” dell’andamento della relazione. Questo è il primo passo per rafforzare l’autostima amorosa, di seguito vediamo come.
Accusarsi di non valere abbastanza, di essere “meno brave” di altre donne nel “tenersi un uomo”, la subdola convinzione di essere sbagliata sono pensieri che scavano nel profondo generando una profonda perdita di autostima.
Avere un uomo al proprio fianco non è un fatto di “bravura”
La decisione di un uomo di restare al fianco della propria donna non è dovuto alla “capacità” della partner di convincerlo facendo la brava donnina che asseconda i suoi bisogni.
Al contrario, una delle premesse fondamentali affinché un rapporto di coppia possa durare nel tempo consiste nella capacità dei partner di condividere le responsabilità impegnandosi reciprocamente nel mantenimento del rapporto.
Combattere gli stereotipi femminili
La convinzione di poter essere felice solo con un uomo accanto è un’eredità che spesso la dipendente affettiva riceve dai suoi modelli femminili.
“Mia mamma non ha mai accettato la mia separazione. Ancora oggi mi ripete che sta male all’idea di sapermi sola ad affrontare la vita, senza un uomo al mio fianco che mi aiuti…” Lorella, 45
Lorella ci permette di comprendere quanto possa essere difficile sentirsi sostenuta e valorizzata all’interno di un contesto familiare nel quale vige la convinzione che la donna da sola sia una “poveretta senza uomo” anziché un adulta in grado di provvedere a se stessa. Quindi impara la propria autostima dipenda dalla presenza di una vita di coppia.
La parole della mamma di Lorella nascondono un profondo senso di svalutazione verso la figlia e l’impossibilità di pensare che una donna sia in grado di procacciarsi la felicità anche da sola.
Liberarsi dalla tendenza a pensare che si abbia un valore solo con un compagno a fianco, richiede pertanto la capacità di compiere una “rivoluzione” creando una scala di valori differente da quella trasmessa dalla generazione precedenti.
Nascere per la seconda volta
Quanto espresso finora ci permette di comprendere quando possa essere lento e faticoso per una dipendente affettiva il percorso di conoscenza verso se stessa, abituata ad attribuirsi valore attraverso gli occhi degli altri ed incoraggiata, dai modelli femminili ricevuti, a percepirsi realizzata solo se all’interno di un rapporto di coppia.
Per questo motivo, nel suo percorso di guarigione, è come sé la dipendente affettiva nascesse per la seconda volta.
Nella sua prima nascita si è conosciuta attraverso il legame con l’altro, legame povero di affetto e di attenzioni che l’hanno condotta a lottare e investire tutte le sue energie nel tentativo di essere amata e riconosciuta.
La seconda nascita è lei stessa a produrla nel momento in cui decide di fermarsi dall’incessante ricerca di amore nell’altro per guardare per la prima volta dentro se stessa.
Solo dopo essersi conosciuta e affermata potrà rientrare nel legame, capace finalmente di trovare una equilibrio e una gusta distanza tra se stessa e l’altro.
Per iniziare questa lotta suggerisco di dedicare qualche minuto all’esercizio che propongo di seguito.
Attività: “Per tua nonna una donna si realizzava quando?”
Tratto da Autostima al femminile – Rappresentazione di sé, potere e seduzione (Maria Menditto).
- Scrivete cosa vostra nonna ( materna / paterna ) avrebbe detto per definire una donna realizzata: “per mia nonna una donna si realizzava quando…”
- Scrivete tre cose.
- Ora pensate alla mamma. Scrivete cosa vostra mamma avrebbe detto per definire una donna realizzata: “per mia mamma una donna si realizzava quando…”
- Scrivete tre cose.
- Ora ritornate alla definizione di vostra nonna e segnate con una crocetta le cose che vi piacciono di più tra le tre.
- Fate lo stesso per le cose dette da vostra madre.
- Chiedetevi che cosa vi siete portate dietro da queste figure dei due ruoli. Riflettete sul perché è difficile uscire da questi schemi.
L’abbattimento di stereotipi che vedrebbero le donne realizzate esclusivamente nel rapporto di coppia dovrebbe condurre ad una nuova concezione di benessere nella quale venga rivalutata l’importanza di saper concretizzare sogni e ambizioni personali.
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