In questo articolo ho pensato di commentare il video musicale di Moby (musicista e cantante statunitense) relativo alla canzone “Are you lost in the world like me?” (Ti sei perso nel mondo come me?) perché in soli 3 minuti condensa il malessere della nostra società, in una carrellata di immagini significative lasciando l’osservatore sbigottito e amareggiato, come se avesse appena rivevuto una sberla in faccia.
Questo video, che trovate in alto e vi consiglio di guardare con attenzione, ci permette di sviscerare una serie di problematiche attuali e di prenderne coscienza in modo crudo, ma direi molto efficace.
Cosa ci mostra il video di “Ti sei perso nel mondo con me?”
Partendo dagli smombies, che siamo noi quando nella frenesia dei ritmi moderni, sempre intenti a fare mille cose per volta, camminiamo, guidiamo, mangiamo con lo sguardo perennemente rivolto allo schermo dello smartphone, che ci cattura, ci ipnotizza e da cui non riusciamo a staccarci, non curanti spesso delle persone che ci stanno a fianco, che ci parlano o delle auto che passano, a nostro rischio e pericolo.
Il colore del videoclip volutamente in bianco e nero trasmette un senso di tristezza, solitudine, trascuratezza, noia, apatia soprattutto se contrapposto paradossalmente alla folla di persone, apparentemente vicine, ma lontane, distanti, perse ognuna nel suo mondo.
L'”InterRealtà”: un mondo digitale che ha effetti sulla nostra vita reale
Un mondo che non possiamo più ormai definire soltanto surreale o virtuale, perchè delle conseguenze e degli effetti li ha, eccome, sulla nostra vita.
Proprio per questo è stato coniato il termine “InterRealtà”, cioè un nuovo spazio sociale ibrido che mescola il mondo digitale con quello fisico, trasformando ogni nostro comportamento messo in atto attraverso i social in qualcosa che produce degli effetti significativi e reali anche nella nostra vita quotidiana. Noi siamo immersi nell’InterRealtà anche se forse non ce ne rendiamo nemmeno conto.
Dipendenza da internet e Social, in cosa può evolvere?
Un altro tema che emerge dal video di “Ti sei perso nel mondo con me?” è quello del cyberbullismo, ormai piaga sociale tra gli adolescenti.
È vero per carità, anche ai nostro tempi c’era il bullismo e probabilmente c’è sempre stato sin dall’antichità, ma non possiamo negare che gli strumenti tecnologici attuali rendono il fenomeno più dirompente e dilagante.
Un gruppo di ragazzi che ne picchia un altro e poi posta il video su youtube o lo condivide con gli amici per vantarsene. Una ragazza commette un’azione sciocca per ingenuità adolescenziale, sotto l’effetto di una birra di troppo o delle emozioni travolgenti del primo amore e cosa succede?
Un tempo la bravata sarebbe rimasta tra i pochi presenti e ben presto dimenticata, o archiviata tra i ricordi di gioventù, ora invece viene immediatamente postata sui social, e poi condivisa e condivisa e condivisa ancora, senza chiederne ovviamente il consenso. L’effetto virale e moltiplicatore del cyberbullismo o del sexting è umiliante e devastante; rende pubblico qualcosa di privato, intimo, vissuto con una persona o gruppo limitato, di cui magari ci si fidava.
Queste azioni deprolevoli ricevono putroppo una valanga di like e commenti, che non fanno altro che rinforzare il cyberbullo o l’haters di turno, e mortificare ancor più la vittima che in alcuni casi è giunta all’atto estremo del suicido per uscire da questa gogna multimediale.
Moby mostra bene nel filmato come anche la platea nel suo anonimato, che vede e non fa nulla, che ride o commenta in modo aspro gioca il suo ruolo ed ha una responsabilità.
Questo richiama il tema dell’indifferenza verso le ingiustizie, le prevaricazioni, ma anche banalmente l’indifferenza tra di noi, a tavola, in famiglia. Dove ci si trova insieme, ma in solitudine, ognuno concentrato sia fisicamente che mentalmente sul proprio smartphone o pc, tanto da non vedere e sentire più l’Altro.
“Ti sei perso nel mondo con me”: sembrare uguale essere?
Siamo invece campioni nello scambiarci innumerevoli emoticons, perdendo di vista forse il valore dell’emozione, del sentimento, svuotato del suo significato profondo, banalizzato, sintetizzato con un’immagine priva di sfumature, che spesso da vita a fraintendimenti e litigi infiniti via chat.
E molto diffusa anche la pratica del selfie, che tutti utilizziamo è inutile negarlo, ma che a volte è solo una maschera, una rappresentazione falsata e distorta di noi stessi. Tendiamo a mostrarci sempre felici, anche quando magari non lo siamo per niente, sempre sorridenti, sempre presi a “fare cose, vedere gente”.
Ciò viene amplificato da filtri e ritocchi di ogni genere, che rende il tutto ancor più meravigliosamente… non autentico.
Sta diventando forse l’antidepressivo attuale? Se sembro felice e attraente forse lo divento anche? Forse mi aiuta a risalire dalla solitudine in cui mi trovo, dietro uno schermo a vedere la vita degli altri che scorre nella home?
La risposta ovviamente è no, infatti molte ricerche scientifiche dimostrano che più tempo trascorriamo in questo modo e più diventiamo depressi, ansiosi e invidiosi.
Tuttavia un dubbio tra le persone serpeggia, soprattutto tra i nativi digitali: se non posto ogni istante della mia vita forse agli occhi degli altri “non esisto”, forse vuol dire che ho una vita noiosa, che non merita di essere mostrata. Sembrerà strano, ma oggi il dubbio è proprio questo, altro che l’obsoleto “cogito ergo sum”.
Questa tendenza però rischia di farci perdere la magia stessa del momento. Non riusciamo più a goderci e viverci l’istante senza interferenze, nel tentativo invano di cogliere quell’attimo, come se lo volessimo rubare, immortalare, rendere eterno.
E la canzone “Ti sei perso nel mondo con me?” e il relativo video con la sua capacità associativa, passa velocemente dal “filtro Bellezza” , che solo il nome è ridicolo, alla chirurgia plastica.
Dall’omologazione digitale a quella reale
Purtroppo un altro allarme emerso negli ultimi anni è proprio questo, la diffusione della chirurgia estetica tra i teenagers, ma non solo. Giovani, in forma, che non avrebbero alcun motivo per intervenire in modo invasivo sul proprio corpo, senza possibilità di ritorno, ma che purtroppo per omologarsi ai canoni di bellezza attuali ne fanno ricorso.
Sempre più ragazze e ragazzi chiedono un ritocchino per assomigliare alla modella o cantante di turno. Istagram e tutti i mass media che pressano con l’obiettivo della bellezza a tutti i costi e a qualunque età, sicuramente non aiutano anzi incrementano l’insicurezza e la scarsa autostima, che è possibile avere soprattutto in giovane età.
Tuttavia se osserviamo con attenzione attrici e attori famosi e talentuosi, molti di loro hanno dei volti imperfetti, ma è proprio quel difetto o quella particolarità che li ha resi riconoscibili, diversi dagli altri, a tutti gli effetti Unici. Come unico è ognuno di noi, senza doversi omologare a nessun canone estetico del momento, che ci renderebbe solo la brutta copia di qualcun’altro.
E così si giunge alla fine del videoclip, con altre scene davvero toccanti che non vi svelo, ma che meritano di essere viste perchè ci fanno riflettere su quanto forse stiamo rischiando. Stiamo rischiando di perdere la capacità di emozionarci, commuoverci, portare rispetto, ascoltarci, immedesimarci con le persone che abbiamo di fronte e di fianco.
Il bambino del video, che è dentro ad ognuno di noi, rappresenta la nostra parte emotiva, non ancora anestetizzata e asuefatta da questo processo in essere. Inizialmente non capisce, sembra incredulo e cerca di scuotere la coscienza delle persone che incontra per strada, ma dopo essere stato a lungo inascoltato e messo in un angolo non può far altro che piangere e restare a guardare inerme.
C’è allora da chiedersi come esorta il titolo stesso della canzone “Ti sei perso nel mondo come me?”
Dalla dipendenza all’uso utile di internet e social
Anche se così fosse, possiamo sempre ritrovare la strada, riprendere il filo della nostra vita e dargli una nuova direzione e senso. Ripartendo da un ascolto profondo e sincero di noi stessi e coltivando le relazioni.
Internet e i social se usati in modo adeguato sono strumenti utili, costruttivi, che facilitano in diversi modi la nostra vita e la comunicazione, sarebbe stupido demonizzarli o chiuderci di fronte al progresso.
Tuttavia queste tecnologie vanno gestite e devono essere un mezzo e non il fine ultimo. Devono traghettarci e agevolare le Relazioni Vere, fatte di emozioni, corpo, sfumature, silenzi, attese, sguardi, occhi negli occhi. Senza schermo, senza filtri.
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