Mi presento, sono Carmen, e tutta la vita ho vissuto sapendo d’essere una dipendente affettiva. Attraverso questo articolo voglio provare a spiegare i comportamenti che mi hanno resa consapevole di soffrire di questa dipendenza e il mio percorso per per comprendere i bisogni e le emozioni che celavo dietro la mio modo malsano di amare.
Dall’attaccamento simbiotico alla Paura di perdere l’altro
Sin da bambina l’attaccamento nei confronti di mia mamma è stato fusionale e simbiotico… questo ha condizionato e determinato i miei successivi rapporti affettivi.
L’unico modo d’amare che conosco è una modalità totalizzante: non ho mai sperimentato la serenità e la gioia che un amore può dare, ma sempre e solo una paura di perdere, un bisogno costante che paragona l’amore a una droga, al bisogno di quelle briciole che sono la “dose”, che permette di nutrire un bisogno incessante di rassicurazioni, vicinanza, conferme.
La paura di perdere domina incontrastata, la paura che “l’oggetto d’amore” si allontani, si dimentichi di me, non mi nutra con la presenza o con la telefonata o il messaggio; telefonata o messaggio che in questa epoca tecnologica hanno assunto un ruolo fondamentale nei rapporti.
Perché non visualizza, perché non risponde?
Ogni ritardo è fonte di ansia e preoccupazione.
Forse non mi vuole più? O non può scrivere?
Domande che inevitabilmente chi è all’interno di un rapporto dipendente si fa continuamente nell’attesa di un riscontro.
Troppe volte ho vissuto questo circolo vizioso, rincorrere chi sfugge, chiedere scusa quando non era necessario, accettare l’inaccettabile per compiacere, per essere “brava”.
Se mi mostro brava forse anche lui mi amerà!
Dover dimostrare sempre qualcosa per essere “vista” per sentirmi “importante” per lui. Esisto se sono nella mente dell’altro e se mi struggo per l’altro. Non conosco altro modo d’amare…
Accontentarsi delle briciole per dare tutto al partner
Quando la relazione non è paritaria, ma solo uno dei due componenti avverte di non ricevere abbastanza, di non essere capito nei propri bisogni, si accontenta, e faticosamente si fa bastare anche le briciole pur di essere accettata e di esserci per l’altro; ecco che è il momento di porsi delle domande, di chiedersi se è quello che vogliamo.
A queste domande spesso non ho concesso di affiorare alla coscienza, assorbita dal desiderio di compiacere non ho dato ascolto ai miei bisogni a quella vocina che mi diceva: ma è questo che voglio? È questo che mi merito? O che penso di meritare….
Nell’altro si apprezzano le nostre parti mancanti:
…cosa ho visto in quegli uomini con i quali ho cercato inconsciamente di completarmi?
Fascino, autonomia, bellezza, intelligenza ecc. qualunque fosse la qualità che compensava la mia parte mancante, nel momento della rottura inevitabile, ho dovuto fare i conti con ciò che perdevo di me perdendo l’altro.
Pertanto era preferibile non separarsi per non perdere pezzi di sé.
Il percorso per ripartire da me stessa
Ripartire ogni volta da stesse non è stato facile e nemmeno veloce: due sono stati i percorsi terapeutici intrapresi in epoche diverse della mia vita, il primo a indirizzo psicodinamico e l’altro molto tempo dopo, cognitivo comportamentale.
Percorsi irti di difficoltà e di ricadute, ma solo noi stesse possiamo essere artefici del nostro benessere, ascoltandoci, prendendo consapevolezza dei nostri bisogni e di ciò che ci fa star bene.
Per arginare la Dipendenza Affettiva e i pensieri intrusivi oltre alla terapia psicologica, è fondamentale ESPLORARE, incrementare tutte le attività che possono arricchire la nostra emotività, sport, hobby, scrittura creativa, corsi di ballo ecc. Dare spazio all’esplorazione del mondo, come un bambino che esce dal guscio protettivo per incontrare lo “spazio esterno”.
Amare se stesse per poter amare in modo sano e sapersi tutelare a tempo debito di fronte a situazioni insoddisfacenti e tossiche.
La Dipendenza Affettiva è una dipendenza come le altre con l’aggravante che “l’oggetto del desiderio” è una persona e non una sostanza e come tutte le dipendenze va curata, la “vittoria” si raggiunge con la capacità di controllare le proprie azioni e comportamenti disfunzionali.
In un percorso di psicoterapia vengono forniti gli strumenti per gestire questa condizione affettiva: si impara a dar voce alle proprie emozioni e bisogni, a non temere la solitudine ad apprezzare la compagnia di se stesse.
La mia testimonianza vuol essere un invito a prendere consapevolezza e ad affrontare la propria Dipendenza Affettiva affidandosi alle competenze di professionisti formati in tal senso e che operano sia con trattamenti individuali e di gruppo, secondo protocolli validati dalla comunità scientifica.
Il mio incontro con la Dott.ssa Gritti e il percorso di gruppo con Lei intrapreso e completato, mi ha dato l’occasione di sperimentare un approccio alla Dipendenza Affettiva, innovativo, uno spazio dove ascoltare, visualizzare, e lasciar fluire le proprie emozioni e l’empatia, dove confrontarsi e mettersi in gioco, cercando di rafforzare l’autonomia e imparare ad amarsi.
Ringrazio la Dottoressa per questo prezioso percorso e ringrazio me stessa per esserci ancora, dopo aver affrontato una vita di sofferenza, ho creato e sono orgogliosa di questa mia piccola vittoria, un gruppo Facebook sulla Dipendenza Affettiva e crescita personale, metto a disposizione di coloro che vivono questa esperienza dolorosa il mio contributo e l’esperienza maturata in una vita da Dipendente Affettiva.
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