Durante i giorni difficili, di infiniti minuti di tempo da riempire, di giornate quasi tutte uguali, mi capita spesso di utilizzare piattaforme online e di guardare film, documentari e serie TV. Credo che la modalità “streaming”, in generale, ci stia dando la possibilità di evadere, seppur per qualche ora, dalle nostre quattro mura e di catapultarci in mondi nuovi, di viaggiare con la mente e con lo spirito.
L’umore altalenante della quarantena, mi ha portato a scorrere su e giù la griglia di Netflix, in attesa che qualcosa attiri la mia attenzione, risvegli le mie passioni e stimoli la mia riflessione su tematiche talvolta leggere, talvolta profonde.
Di grande impatto emotivo e molto discussa sui social è Unorthodox, una nuova serie disponibile da Marzo 2020, basata su una storia vera, tratta dal memoir di Deborah Feldman, autrice di “Unorthodox: The Scandalous Rejection of My Hasidic Roots”, che tratta di un emozionante percorso rinascita ed emancipazione femminile.
Unorthodox: la storia di Etsy
La storia parla di una ragazza Etsy, 19 anni, cresciuta in una comunità ultra-ortodossa chassidica di Brooklyn, con regole religiose e sociali rigidissime e spesso penalizzanti, soprattutto per le donne.
Nello specifico non è permesso in alcun modo avere un’istruzione e non c’è libertà alcuna di decidere del proprio corpo e della cura del proprio aspetto fisico, non è concesso conoscere il mondo esterno pena la sofferenza e talvolta la morte davanti al volere di Dio.
L’unico scopo di vita concesso alle donne e quindi alla giovane Etzy è quello di concepire figli per “ripopolare i sei milioni di ebrei uccisi durante l’Olocausto” e di partecipare in modo puntuale a tutti i riti religiosi e festività.
Per Esty, scegliere cosa indossare o leggere un libro non sono azioni scontate e banali.
Ama la musica, il pianoforte, ma la comunità non permette nessuna forma di espressione personale e di certo di coltivare delle passioni fuori dai riti religiosi.
Il suo mondo è basato su un collaudato meccanismo di matrimoni combinati estremamente prolifici, che proibisce la socializzazione tra uomini e donne non facenti parte della stessa famiglia, la lettura di libri laici, la visione di film e l’accesso a internet.
Di certo un mondo dal quale è difficile prendere le distanze senza essere sopraffatti da sensi di colpa e dall’accusa di tradimento davanti a Dio.
Figlia di un padre alcolista e una madre che anni prima ha abbandonato la comunità allontanandosi da lei, viene cresciuta dai nonni, reduci dall’Olocausto, e già giovanissima è impegnata in un matrimonio combinato, con grande entusiasmo di tutta la famiglia.
Sta per raggiungere lo scopo di tutta una vita, ma il matrimonio non si rivela pieno di opportunità come Etzy credeva, anzi la consuma ulteriormente e, la delusione della sua mancata gravidanza entro il primo anno, fa saltare quello che fino ad ora sembrava essere il suo equilibrio.
Vuole davvero vivere privandosi di ogni libertà e nel modo che le è stato predestinato da Dio? Etzy non ci sta e scappa, la sua meta sarà Berlino.
Alla scoperta della sua assenza, dopo pochi giorni, sull’ordine del rabbino, viene inseguita dal marito e dal cugino, con il compito di riportarla a casa. Dopotutto:
«un ebreo, anche se ha trasgredito, resta un ebreo: non possiamo lasciare che la nostra gente si smarrisca».
La libertà oltre la violenza: ascoltare la propria bussola
Il suo gesto di estremo coraggio però è il primo passo verso la libertà che in ogni momento della storia acquisterà significati sempre più profondi.
Non a caso i creatori di Unorthodox affiancano al suo viaggio un dono speciale la accompagnerà sempre: una piccola bussola, che cela una guida interiore che la porti esattamente dove vuole andare.
Il primo passo: l’espressione personale oltre la violenza
La cultura di appartenenza di Etzy ha agito annullando la sua individualità e la sua unicità inserendola in un contesto di chiusura verso il mondo esterno e negazione di sé.
Troviamo una scena catartica proprio all’inizio della pellicola: Etzy ha conosciuto alcuni amici che la portano al lago Wannsee, luogo significativo nella lotta agli ebrei e qui, dopo essersi sfilata i collant color carne e la parrucca, si immerge in un bagno liberatorio.
Lo svelamento di quei capelli cortissimi a cui è costretta, così come di alcune piccole porzioni di pelle, segna il principio della sua rinascita.
Il motore della sua determinazione però è la sua più grande passione: la musica.
L’arte è un mezzo salvifico di espressione personale, del suo essere donna, del suo essere unica, speciale, soprattutto grazie alla sua storia.
Nonostante le continue violenze della famiglia Etzy non rinnega mai le sue origini né tantomeno la religione; al contrario, con un coraggio inaspettato, cerca il valore delle sue radici e si batte con tutte le risorse in suo possesso per superare le avversità e conquistare la persona che vuole essere.
Il processo di emancipazione è molto doloroso e rivela numerosi compromessi interiori da intraprendere. Il prezzo da pagare per essere sé stessa.
Il secondo passo: il confronto
Etzy non è sola, troviamo anche numerosi contributi di solidarietà, quasi tutti al femminile: le persone che incontra la aiuteranno a conoscere e misurarsi con le diversità, l’accompagneranno nella creazione di uno stile personale e nel sentirsi a suo agio con il suo corpo.
Piano piano, in modo pudico, rispettoso e curioso la ragazzina cresciuta a Williamsburg sta diventando una Donna che cerca il suo posto nel mondo.
E noi dall’altra parte dello schermo non possiamo fare altro che seguire la sua crescita e fare il tifo per lei, per la sua emozionante voglia di vivere e di essere felice, per il suo coraggio di rischiare la sua vita e la storia che rivive in lei, per tutte le sue piccole grandi scoperte quotidiane che tanti di noi danno per scontate ma che nel corso della storia ci fanno sorridere dolcemente.
Unorthodox: una storia comune a tanti
Quella di Esty può sembrare una storia lontana ma in realtà non lo è; parla di ognuno di noi, è una storia universale.
Ed in particolare è la storia di tutte quelle donne che stanno vivendo una condizione di grande sofferenza e di dipendenza, dal proprio partner.
Ci sono dei momenti della vita in cui tutto sembra impossibile e sentiamo che le situazioni in cui viviamo ci tengono prigionieri.
Ci sono giorni, mesi, anni che mettono a dura prova la fiducia nelle nostre capacità, in cui è difficile pensare ad un mondo in cui la nostra sofferenza possa essere un lontano ricordo.
Molte delle dinamiche di oppressione, di deprivazione, di annullamento della propria identità, di solitudine, di violenza raccontate attraverso la protagonista di Unorthodox e la sua religione sono le stesse che nascono, crescono e si insinuano nelle storie delle donne dipendenti.
E non da meno è il loro coraggio, la loro, forza e il rispetto che hanno per la loro stessa vita e quella e spesso anche dei loro figli.
La storia di Etzy e quella di tantissime altre donne, urla al mondo la capacità di vedere possibilità dove sembrano esserci solo impossibilità.
E onestamente in questi giorni fa particolarmente bene sapere che c’è una via d’uscita. Sempre.