Un fantoccio. Assomiglia ad una persona, le sue sembianze la ricordano molto ma in realtà si muove come se non lo fosse, in modo quasi automatico e meccanico. Ed è sospeso, come se non avesse più aderenza con la realtà, come se si trovasse in un limbo dove non si sente più sé stesso, ma cerca qualcosa per sentirsi vivo.
Questa è un’immagine cruda e angosciante che “The Social Dilemma”, docuserie prodotta da Netflix, offre come metafora dell’allarmante incremento di utenti che manifesta sintomi da dipendenza da social.
Non è una novità che l’utilizzo dei social abbia un grosso impatto sul nostro modo di vivere e che inevitabilmente abbia influenzato in modo massiccio il nostro modo di leggere e vedere il mondo: dall’acquisto di un bene, alla scelta dei vestiti da indossare per andare al lavoro, alla facoltà di avvicinare persone e luoghi lontani e difficili da raggiungere, fino ad influenzare la percezione che abbiamo di noi stessi, i nostri livelli di autostima, la nostra vera e propria identità.
Le due facce della medaglia dei social network
I social network sono attualmente utilizzati da oltre 2 miliardi di persone in tutto il mondo e si sono rivelati uno straordinario mezzo di comunicazione che ha garantito e portato ad un vero e proprio miglioramento della qualità della vita.
La situazione attuale ha messo in evidenza che nonostante molti di noi siano costretti al distanziamento sociale, la capacità dei social di mantenerci in contatto con i nostri cari può essere un’ancora di salvezza. In assenza d’interazioni fisiche, abbiamo imparato nuovi linguaggi virtuali – scambi di testi, meme ed emoji – da usare con amici, famigliari e colleghi, che non possono che migliorare la nostra salute mentale collettiva.
The Social Dilemma però sposta per un secondo il focus d’attenzione su aspetti meno visibili, più subdoli riguardo quegli effetti che l’assiduo utilizzo dei social può avere sulla salute mentale delle persone.
In breve, il documentario si avvale di testimonianze raccolte a partire dai creatori delle primissime versioni delle piattaforme che meglio conosciamo come Instagram, Facebook, Twitter (e che ora hanno scelto di allontanarsene per motivi di tipo etico) che cercano di spiegare come queste si siano nel corso del tempo evolute a favore del mercato, utilizzando meccanismi manipolatori che portano milioni e milioni di persone a rimanere incollati allo schermo per ore senza che questo li porti a pensare che sia un comportamento dannoso per la propria salute mentale e fisica.
“Sappi che se non stai pagando per il prodotto online che stai usando, allora vuol dire che il prodotto sei tu.”
Questa irriverente provocazione lanciata da uno dei testimoni non lascia mezzi termini a ciò che sta succedendo.
The Social Dilemma: una dipendenza in vendita?
La persona, che inizialmente era al centro del progetto per cui i social sono nati, perde completamente valore per lasciare spazio al profitto, che viene prima di tutto. La nostra attenzione, le nostre scelte in questo modo sono in vendita e il graduale e impercettibile cambiamento del comportamento di ognuno di noi, dei nostri amici e dei nostri conoscenti è il prodotto che viene venduto al miglior offerente.
Il risultato di tutto ciò può avere delle conseguenze devastanti e in realtà in parte ne stiamo già osservando i tragici effetti. I tassi di depressione e ansia negli adolescenti ha avuto un incremento del + 189% e nei preadolescenti del +62% in tutto il mondo; il tasso dei suicidi invece ha avuto un incremento in 10 anni del +70% negli adolescenti e del +151% nei preadolescenti. Per non parlare degli effetti dannosi che può avere sull’attenzione, sui livelli di concentrazione o ancora sulla possibilità di sviluppare una vera e propria dipendenza.
La dipendenza da internet ed in particolare la dipendenza da social è apparsa sul panorama clinico negli ultimi anni e rientra nelle New Addiction di cui il Centro Dipendiamo si occupa e per cui compie numerose ricerche e approfondimenti poiché subisce continue modificazioni ed evoluzioni.
Tuttavia c’è un grosso “dilemma” su cui riflettere seriamente: mentre la persona cerca un’emancipazione lavorando su di sé e sulle proprie risorse avvalendosi dei servizi a supporto psicologico disponibili, per far fronte alla necessità di colmare i propri vuoti e sofferenze (solitudine, necessità di essere accettati, mantenere uno standard fittizio di vita perfetta proposto da influencer e persone “famose”), le piattaforme studiano costantemente nuove strategie e metodi di manipolazione psicologica al fine di attrarre ancora di più gli utenti, di incrementare il loro tempo di utilizzo, il loro desiderio di ricevere likes, di controllare il profilo del proprio ex, di acquistare prodotti brandizzati.
Soluzioni al “dilemma”?
Tristan Harris, ex esperto di etica del design digitale di Google, fondatore del Center for Human Technology, si fa avanti in modo coraggioso e senza scrupoli battendosi perché i social networks abbiano leggi che promuovono una maggior salvaguardia dei propri utenti creando un vero e proprio movimento a favore di ciò.
“…è necessario creare un protocollo che incoraggi queste multinazionali ad un lavoro più etico e rispettoso del consumatore. […] Ricordate che siete voi responsabili di come usate i social, di quanto tempo ci passate e di quello che consumate e con cui vi relazionate…”
E noi nel nostro piccolo che cosa possiamo fare? Esistono delle strategie che possiamo mettere in atto per tutelarci ad un utilizzo maggiormente consapevole di questi dispositivi?
Di sicuro la totale assenza nell’utilizzo dei social network non può essere una soluzione adeguata, poichè anche la completa negazione di questi può avere degli effetti sulla vita delle persone, è innegabile che ormai facciano parte della società nella sua totalità.
“Se siete consapevoli che ognuno di noi accede a una versione dei social che è stata arrangiata in modo da indurci a compiere determinate azioni, potete scombussolare questi algoritmi cercando attivamente fonti di notizie alternative, o seguendo persone e brand che di solito non seguireste”
È importante riuscire a capire come agiscono questi meccanismi per permettere di arginarli e di non condizionare l’utilizzo che ognuno di noi fa dei social network. È importante scegliere contenuti che stimolino la nostra creatività, la nostra voglia di conoscere, di socializzare e di accettarci per come siamo e non che ci rendano dei consumatori passivi di notizie andando ad identificarci con l’immagine di quel fantoccio, che tanto spaventa.
Come punto di partenza, sarebbe opportuno che ognuno prendesse visione del documentario, che seppur in modo crudo e a tratti spaventoso ha introdotto silenziosamente nelle nostre case un punto di vista che fin ora avevamo ignorato o che semplicemente non avevamo ancora avuto il coraggio di voler vedere e ora più che mai ha bisogno di utenti che gli diano voce.
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