Il lavoro come realizzazione di sé
“La vera libertà individuale non può esistere senza sicurezza economica ed indipendenza. La gente affamata e senza lavoro è la pasta di cui sono fatte le dittature”
-Franklin Delano Roosevelt-
In un’epoca sicuramente diversa da quella attuale, Roosevelt cercava di sottolineare l’importanza del lavoro nella condizione di libertà dell’uomo: la sua funzione era quella di garantire il denaro necessario e l’autonomia. Con il passare degli anni e il maggior numero di ricerche scientifiche, si è notato come il lavoro possa avere un peso ancora maggiore nella vita di ogni persona: identità, autostima, autoefficacia, bisogno di realizzazione sono solo alcuni dei fattori che si vanno ad aggiungere alla motivazione economica e di indipendenza citata dal noto Presidente Americano.
Wille e De Fruyt (2014) hanno ad esempio osservato come le persone sono portate inizialmente a scegliere lavori che corrispondano alle loro caratteristiche innate, ma al tempo stesso l’ambiente lavorativo può spingere una persona a modificare i propri tratti caratteriali e la propria identità. Se avete visto “Il Diavolo veste Prada”, probabilmente vi sarà facile capire il risultato della ricerca presentata! Andrea Sachs, la protagonista, è una neolaureata molto promettente alla ricerca di un lavoro nel mondo del giornalismo, ma non è minimamente interessata alla moda e a prendersi cura del proprio aspetto esteriore. In seguito all’assunzione presso una rivista di moda e all’impegno sempre maggiore che dedica alla sua professione, assistiamo a un cambiamento in Andrea, che inizia a dare più peso anche al suo aspetto esteriore. La sua identità si è quindi modificata, per inglobare e assimilare anche la sua immagine lavorativa all’interno del quadro più complesso formato dal suo contesto abituale, dalla sua cultura e dalle sue caratteristiche personali. Questo cambiamento può riguardare diversi aspetti della propria identità e non può essere vista come una caratteristica positiva o negativa a livelli assoluti: è infatti influenzata dalla soddisfazione per il lavoro, dallo stress percepito, dall’impegno e dal tempo dedicato, dalla percezione di quanto i compiti svolti siano interessanti e nelle capacità della persona.
Il lavoro secondo la società
La società tende a valorizzare chi lavora molto, soprattutto nei giovani, opponendo invece feroci critiche a chi si lamenta delle condizioni non adeguate, accusandolo di non volersi impegnare a sufficienza. In modo anche piuttosto controintuitivo, non appare predominante il raggiungere gli obiettivi ed essere produttivi, ma l’usare tante ore e rinunciare al proprio tempo libero.
Secondo il Sole 24 Ore, il 66% dei giovani tende ad avere problemi di dipendenza da lavoro (workaholism): il 32% lavora anche durante una malattia, il 70% nel weekend e il 39% durante le vacanze. Secondo la psicoterapeuta Amy Morin, ben il 42% dei millennials (i nati tra il 1981 e il 1996) lavora duramente più di 9 ore al giorno, sperimentando le conseguenze legate all’uso eccessivo del pc e alla mancanza di vita sociale. In Italia non sono presenti molti studi dettagliati sul tema, ma secondo il quotidiano Repubblica, circa il 3% dei lavoratori ha una dipendenza da lavoro.
Recentemente, l’utilizzo intensivo dello smart-working ha contribuito a diminuire lo spazio sia fisico sia psicologico tra vita privata e vita lavorativa delle persone: la condizione di maggiore flessibilità di orari ha portato a delle conseguenze profondamente negative sulla vita delle persone. Se stare a casa da un lato ha condotto alla percezione di uno status psico-fisico inizialmente positivo, con il passare del tempo ha portato alla creazione di una condizione di connessione permanente. I confini tra la vita privata e quella lavorativa si sono sempre più avvicinati tanto che spesso, soprattutto quando le misure sono state molto restrittive, si sono sentite le persone dire “Questo weekend ho lavorato, del resto non avevo altro da fare e ho pensato di fare qualcosa di produttivo”, “il mio capo mi ha dato del lavoro in più da fare, tanto comunque dovendo stare a casa non ho altri impegni”.
Questo contesto apparentemente innocuo ha concorso in larga scala ad alimentare ed incrementare lo sviluppo della dipendenza da lavoro all’apparenza facilmente mascherabili, che agiscono sulla persona in modo nocivo e dannoso, con effetti a lungo termine pericolosi per il benessere di ognuno di noi.
La Dipendenza da Lavoro e il Vuoto delle relazioni importanti
Il workaholism o work addiction, è comunemente definito come dipendenza da lavoro e rientra insieme alla dipendenza affettiva, da shopping compulsivo, sessuale e da internet nella famiglia delle New Addiction di cui il Centro da anni si occupa.
La Work addiction si manifesta come una “necessità incontrollabile di dedicarsi al lavoro in modo incessante e ossessivo, utilizzando le proprie attività lavorative come scappatoie per evitare emozioni negative, relazioni o responsabilità” (Oates 1971).
Il tema su cui vogliamo focalizzarci oggi riguarda proprio le relazioni:
“Molti di noi hanno imparato che tenersi occupati … ci teneva a distanza dai nostri sentimenti … Alcuni di noi hanno pensato che i modi in cui ci siamo impegnati – diventare perfezionisti e dipendenti dal lavoro- fossero autostima … Ma ogni volta che il nostro sentimento interiore non corrispondeva alla nostra superficie esterna, ci stavamo facendo un cattivo servizio … Se fermarsi a riposare significava essere bersagliati da questa discrepanza, non c’è da meravigliarsi che eravamo riluttanti a cessare la nostra attività ossessiva.”
-Maureen Brady-
Come sottolinea questa autrice, dedicarsi eccessivamente al lavoro potrebbe infatti essere un modo per ignorare un vuoto, una mancanza che viene sentita dalla persona: il lavoro diventa una sorta di tappo per chiudere il buco e silenziare il disagio che scaturisce da questo spazio vuoto.
È illuminante poi notare come nella testimonianza si sottolinei che per una persona che soffre di dipendenza da lavoro, quest’ultimo corrisponda completamente all’autostima, come se il rapporto positivo con gli altri e le proprie qualità non fossero abbastanza importanti e quindi non potessero influenzare la propria identità.
“[…] Avevo soldi, fama, rispetto, ma non mi sentivo amato, c’era una parte di me completamente arida”
– Daniele, in Workaholic, Cesare Guerreschi –
“Ma io non mi sentivo sola, anzi pensavo di essere piena, ma erano solo impegni e cose da fare, in realtà ero sola di affetti”
– Francesca, in Workaholic, Cesare Guerreschi –
Sia Daniele che Francesca, nella loro testimonianza, mettono in luce come il lavoro riempia le loro vite di impegni, di cose materiali e di rispetto da parte degli altri. Ma entrambi, dopo una lunga dipendenza, sono arrivati a osservare come alle loro vite mancassero delle relazioni importanti e degli affetti più cari. Entrambi sono arrivati alla decisione che chiedere aiuto fosse la cosa più importante, perché il vuoto lasciato dagli affetti meritava attenzioni, e non di essere nascosto e sopraffatto con altri stimoli.
“Mia moglie e le mie figlie mi rinfacciavano tutte le mie mancanze e io cercavo di giustificarmi dicendo che in fin dei conti stavo lavorando per portare soldi a casa e far stare loro tutte più tranquille. Non stavo certo rubando o tradendo nessuno! Eppure, quello che loro vivevano era esattamente questo, si sentivano tradite, abbandonate, trascurate”
– Alessandro, in Workaholic, Cesare Guerreschi –
La famiglia di un workaholic si trova spesso coinvolta in quello che è un vero e proprio tradimento, che non avviene con un altro partner, ma che ne ricalca i contorni. Dedicare sempre più tempo e attenzioni al lavoro, implica che la famiglia venga trascurata, che lo spazio dedicato ai figli e al compagno sia sempre più marginale, che la persona sia sempre più assente mentalmente anche quando è presente fisicamente, perché stanca o perché ancora concentrata sulle questioni lavorative.
Questo meccanismo porta sia i familiari che gli amici ad allontanarsi sempre di più, per proteggersi dalle mancanze e dalle assenze di una persona a cui vogliono bene. Spesso la rabbia dei figli dei dipendenti dal lavoro è così alta che, in caso di separazione dei genitori, rifiutano di vedere il workaholic e di passare del tempo con lui, temendo di essere trascurati o illusi ancora una volta.
Prevenzione e Trattamento
Un buon programma di prevenzione si basa primariamente sull’informazione: è importante affidarsi ad una letteratura adeguata che chiarisca i dubbi riguardo questa forma di dipendenza e immergersi nella lettura di testimonianze dirette che ci aiutino a riconoscere ed identificare le nostre personali affinità con i sintomi esistenti.
Tuttavia, la consapevolezza nel campo delle dipendenze non si dimostra sufficiente a muovere verso un vero e proprio cambiamento e per questo in molti casi è necessario rivolgersi a professionisti per valutare la possibilità di intraprendere un percorso terapeutico. Spesso il suo riconoscimento è tardivo e i pazienti arrivano quando già altri ambiti della vita sono compromessi e compaiono già alcuni sintomi psico-somatici.
La realtà è che nel nostro piccolo possiamo avvalerci di una buona organizzazione delle nostre routine che ci permetta di valutare la priorità delle attività lavorative che siamo portati a svolgere, ritagliando rigidamente degli spazi per noi(leggere un libro, fare sport, guardare una serie tv, dipingere, farci un bagno caldo, mettere il telefono offline per qualche ora), che ci permettano di rimanere in ascolto dei nostri bisogni più profondi. Mettere in atto dei piccoli passi che ci aiutino a diventare maggiormente tutelanti della nostra interiorità e del nostro benessere fisico fino, nel lungo termine, a farla diventare una priorità su tutto.
Test di auto-valutazione della dipendenza da lavoro
Se ti sei riconosciuto in parte nella descrizione della dipendenza da lavoro fatta in questo articolo, ti proponiamo il Work Addiction Risk Test di Johnson e il LA Bergen Work Addiction Scale che ti permette di auto-valutare la tua situazione.
Work Addiction Risk Test
Puoi valutare le seguenti affermazioni da
1 = non vero,
2 =qualche volta è vero
3 = spesso è vero
4 = è sempre vero
Domande del Test
- Preferisco fare le cose da solo/a piuttosto che chiedere aiuto
- Divento molto impaziente quando devo aspettare altra gente o mi trovo in fila
- Mi sembra di avere fretta e di fare la corsa contro l’orologio
- Mi irrito quando vengo interrotto/a mentre sto facendo qualcosa
- Di solito mi mantengo molto occupato/a
- Mi ritrovo a fare più cose contemporaneamente, come mangiare e scrivere appunti
- Spesso metto in bocca più cibo di quanto posso masticare
- Mi sento in colpa quando non lavoro
- È importante che io veda i risultati concreti di quello che faccio
- Sono più interessato/a ai risultati finali del mio lavoro, che al processo con cui li raggiungo
- Ho l’impressione che le cose non vengano mai fatte abbastanza velocemente
- Perdo l’entusiasmo quando le cose non vanno come dico io o non mi soddisfano
- Faccio spesso la stessa domanda senza rendermi conto che ho già avuto la risposta
- Passo molto tempo a pianificare il futuro dimenticandomi del presente
- Mi ritrovo spesso a continuare a lavorare dopo che i miei colleghi hanno finito
- Mi arrabbio quando le persone non soddisfano i miei ideali di perfezione
- Mi sento a disagio nelle situazioni che non posso tenere sotto controllo
- Tendo a mettermi sotto pressione auto-imponendomi delle scadenze
- Trovo difficile rilassarmi quando non sono a lavoro
- Passo molto più tempo a lavorare piuttosto che a socializzare, a svolgere attività di divertimento o hobbies
- Mi tuffo nei progetti cercando di iniziare subito prima ancora che tutte le fasi siano state pianificate
- Mi arrabbio con me stesso per ogni piccolo errore che faccio
- Mi impegno di più sul lavoro che nelle relazioni sociali
- Mi dimentico spesso o minimizzo festeggiamenti in famiglia come i compleanni
- Prendo importanti decisioni prima ancora di avere valutato tutti i fattori necessari
Per calcolare il risultato, fai la somma dei tuoi punteggi.
25-54 = Non eccedi sul lavoro
55-69 = Eccedi mediamente
70-100 = Eccedi molto, ti sovraccarichi di lavoro
LA Bergen Work Addiction Scale
Puoi valutare le seguenti affermazioni da 1 (mai) a 5 (sempre) alle seguenti affermazioni
Domande del Test
- Pensi a come avere più tempo a disposizione per lavorare
- Spendi molto più tempo lavorando di quanto inizialmente previsto
- Lavori per ridurre il senso di colpa, ansia, impotenza e depressione
- Capita che altri ti consiglino di ridurre il lavoro, senza che gli dia retta
- Ti senti stressato se non ti è permesso di lavorare
- Togli importanza agli hobby, al tempo libero, e all’esercizio fisico a causa del tuo lavoro
- Lavori così tanto da influenzare negativamente la salute
Se il punteggio di 4 o 5 è assegnato a quattro o più affermazioni è possibile che sia presente il disturbo di dipendenza da lavoro.