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Capire il passato per vivere un nuovo futuro: l’obiettivo della terapia Dipendiamo

Capire il passato per vivere un nuovo futuro: l'obiettivo della terapia Dipendiamo | Dipendiamo.blog

Se chiedessi a te che stai leggendo di pensare a chi sei, a come descriveresti la tua vita, potrebbe sembrarti un compito estremamente semplice, ma sei veramente sicuro sia così? E cosa centra questo con la terapia psicologica?

“La vita può essere capita solo all’indietro ma va vissuta in avanti.”

-Soren Kierkegaard-

Soren Kierkegaard è un filosofo danese vissuto dal 1813 al 1855, ben prima dell’avvento della psicologia moderna, eppure la sua frase è straordinariamente illuminante nella descrizione del lavoro della terapia clinica che viene svolta al Centro Dipendiamo.

La vita può essere capita solo all’indietro… ma va vissuta in avanti

La vita di ogni persona è composta da innumerevoli sfaccettature, legate ad esperienze, apprendimenti, ma anche desideri e sogni nel cassetto… questo implica che si può essere toccati e magari cambiati da moltissime delle persone che si incontrano e dal loro bagaglio culturale, e questo diventa ancora più vero se ci si concentra sulle persone che si sono occupate della propria fase di crescita.

Lo sguardo indietro è quindi un aspetto importantissimo per poter srotolare la matassa degli eventi e scoprire il filo che li collega. Al tempo stesso però, è importante pensare a quanto le aspirazioni per il futuro abbiano un peso imponente nelle scelte che si compiono.

La vita può essere capita solo all’indietro…

Esiste uno strumento molto importante nella terapia sistemico-familiare, che si chiama genogramma.

Il genogramma consiste in una rappresentazione della famiglia, solitamente attraverso tre generazioni, che mostra gli eventi, le separazioni e i legami più importanti all’interno della propria famiglia (Sorrentino, A. M., 2008. Il genogramma come strumento grafico per ipotizzare il funzionamento mentale del paziente. Terapia familiare).

Ho avuto modo di osservare questo strumento usato nelle terapie di gruppo secondo il Protocollo Dipendiamo (Gritti, M. C., 2018. Dipendiamo. Un trattamento sistemico di gruppo per la cura della Dipendenza Affettiva. Terapia familiare): alle partecipanti viene chiesto di colorare in rosso chi ha amato troppo, in blu chi ha amato troppo poco e in verde chi ha amato in modo sano. Questo lavoro e la successiva discussione in gruppo portano di solito a riflettere in modo molto profondo sui “modelli di amore” che si sono creati in famiglia.

I modelli d’amore sono importanti perché riguardano ciò che ogni persona apprende su come si ama e su cosa ci si deve aspettare da una relazione. Ad esempio, una persona che ama troppo e che vede l’amore come totalizzante può trasmettere l’idea che una relazione implichi completo sacrificio e trascurare i propri bisogni, mentre una persona che ama in modo sano può insegnare come sia giusto essere un supporto per l’altro e condividere, senza però dimenticarsi delle proprie necessità.

Grazie a questa osservazione della propria esperienza, diventa facile creare collegamenti tra le proprie modalità di amore attuali e quello che si è sperimentato da piccoli, così come spiegarsi gli eventi che hanno creato sofferenza.

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Ma perché è così importante capire il proprio passato? Non si può semplicemente “cambiare il corso degli eventi”?

Comprendere il proprio passato e lavorare su di esso è estremamente utile all’interno di una terapia: conoscere infatti le motivazioni dietro determinate scelte o che hanno influenzato gli eventi, permette di aumentare la propria consapevolezza. A sua volta, come in una cascata, una maggiore conoscenza porta a comprendere più a fondo il disagio percepito dalla persona, identificandone cause e spiegazioni.

Una paziente, che ha seguito il gruppo di terapia “Amore Cactus”, ha descritto con sollievo il momento in cui, per la prima volta, ha saputo dare un nome preciso agli atteggiamenti dei genitori. Questa etichetta, infatti, la aiutava a spiegarsi le sofferenze che aveva patito negli anni, ma al tempo stesso le permetteva di non accanire la sua rabbia su di loro: da un certo punto di vista non era colpa loro, ma delle loro esperienze precedenti.

Non sempre, però, il momento dell’illuminazione è visto come una liberazione: in alcune persone può generare una fortissima rabbia. Ci si chiede perché i genitori non abbiano saputo vedere il circolo vizioso che si ripeteva e come non si siano accorti del dolore che trasmettevano. A questo punto è importante saper dirigere questa rabbia: usarla verso le figure di riferimento infatti porta solo a continuare il circolo di dolore, mentre è più salutare adoperarla come forza motrice che traina la crescita.

…Ma va vissuta in avanti

È a questo punto che diventa centrale l’idea di “guardare avanti”: usando la rabbia come spinta si può provare a spezzare il circolo vizioso. Esistono infatti due grandi modi di esprimere la rabbia:

  • come aggressione, quindi in modo distruttivo, attraverso vendette e prevaricazione, con la comparsa di pensieri ossessivi, diffidenza e frustrazione
  • come aggressività, in modo creativo, senza violenza ma come protezione del proprio territorio fisico, psichico e sociale (M. Valcarenghi, 2003, L’aggressività Femminile, Bruno Mondadori Editore), quindi come autodifesa funzionale e sana.

Il primo modo continua a tenere legati al passato e spinge la persona a stare nella rabbia costantemente; il secondo modo invece permette di riconoscere la rabbia e conviverci solo per il tempo necessario a sfogarla.

Per liberarsi da questa forte sensazione è infatti fondamentale capire che passato, presente e futuro vanno integrati, perché non è possibile cancellare il passato, ma si può scegliere di adottare un nuovo modo di vivere per il presente e il futuro.

Non si può infatti ignorare il ruolo che la persona svolge nel mantenimento del proprio malessere: come i genitori sono rimasti nel proprio disagio e lo hanno ripetuto con i figli, così questi ultimi tendono a replicare il modello nuovamente, pur avendo sofferto molto. Non si è mai vittime completamente passive nel proprio disagio, saper riconoscere la propria parte, grazie anche all’aiuto di un terapeuta, e provare a modificarla è un passo fondamentale nella ricerca di questa nuova prospettiva sul futuro.

La terapia Dipendiamo: capire il passato per conoscere il proprio vuoto e riempirlo di futuro

Ogni terapeuta del Centro Dipendiamo ha potuto osservare, nella sua esperienza clinica con le New Addiction, quanto il passato possa spiegare l’origine della sensazione di vuoto riferita dai pazienti: è proprio questa sensazione, questo buco, a spingere verso la dipendenza, nel tentativo di trovare un tappo che funzioni.

Così, nelle sedute, si prova a capire cosa ha generato questo disagio interiore ripercorrendo la vita del paziente, le sue relazioni, le sue sensazioni. Una volta che si è ben inquadrata la situazione, è necessario però aiutare la persona ad ascoltare il proprio vuoto perché, come sottolinea Yael Frankel nell’albo illustrato Il Buco:

“Il Vuoto è un luogo intimo, ispiratore, rigenerante e soprattutto sicuro (…). Credo che il mio mi accompagnerà per sempre perché senza, non sarei più io”.

Categorie: Terapia
Alessandra Lorini: Tirocinante post laurea di Psicologia Clinica presso Dipendiamo - Centro della cura delle New Addiction. Ho conseguito la laurea magistrale in "Psicologia Clinica e Neuropsicologia nel ciclo di vita" presso l'università degli studi Milano-Bicocca. Sono stata volontaria presso una associazione che organizza vacanze in montagna per bambini con lunghe degenze ospedaliere o disturbi del neurosviluppo, al fine di potenziare la loro autonomia e aiutarli a "spiccare il volo".
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