Cara lettrice e amica,
questo articolo non avrà il sapore di un testo argomentato, ma quello semplice di una lettera.
Credo che per parlarti dello specchio una via maestra di accesso per conoscerlo e comprenderlo possa essere proprio quella di metterci dinnanzi ad esso per riflettere insieme, come fossimo l’una lo specchio dell’altra.
Ti confido che, per quanto con lo specchio ci lavori quotidianamente, continuo a riconoscerne tutta la complessità e che più che avere qualcosa di certo o di definitivo da insegnare al riguardo, sento di volere condividere le mie esperienze soggettive, frammenti di vissuti che, probabilmente, tu stessa conosci, stai attraversando o che potresti incontrare strada facendo.
Il mio rapporto con lo specchio non sempre è stato positivo, al contrario, ha conosciuto conflitti, fughe, giudizi, non poche arrabbiature e anche lacrime inconsolabili.
Posso dirti che se avessi ricevuto un euro per tutte le volte che ho provato insoddisfazione per la mia immagine riflessa, o per quelle in cui ho pensato di non possedere l’appeal desiderato, oggi, probabilmente, sarei milionaria. In molte, forse, lo saremmo.
Lo specchio, alle volte, fa paura e ci mette a nudo: corpo, pensieri, anima, dentro e fuori, forma e sostanza, pelle, carne e linfa, come se al suo cospetto non vedessimo solo l’immagine esterna, ma anche qualcosa di più intimo, profondo e invisibile.
Non per niente si dice:
“Se facessi quella cosa, la mattina non riuscirei più a guardarmi allo specchio!”
Sta forse in questo quel senso di magia, quel contributo di sacro, di mistero, che da sempre la storia dell’umanità attribuisce allo specchio, elevato a simbolo del sole, amuleto di vita e di rigenerazione.
Queste sono considerazioni che hanno contaminato il mio personale dialogo con lo specchio dal momento in cui, come spesso accade nella vita, è arrivata una rivelazione che mi ha aiutata a comprendere quanto questo strumento sia un portatore sano di felicità e di consapevolezza.
Questa esperienza porta il nome di mia figlia, Linda Blue, che tra i sei e i diciotto mesi, ha scoperto, proprio attraverso la riflessione dello specchio, che lei esisteva come soggetto separato dagli altri.
La sua “fase dello specchio” di lacaniana memoria, esperienza sostanziale per la formazione dell’io, per la mia esperienza di mamma, donna e consulente di immagine è stata la fase della lezione di vita.
Mentre mia figlia imparava a riconoscersi allo specchio, era completamente immersa in uno stato di festa, di meraviglia e di stupore, manifestato attraverso sorrisi, battiti delle manine e gridolini di piacere e io mi sono sentita completamente rapita da questa scoperta di amore per la propria immagine riflessa.
Mi sono detta che, come lei, anche io nella mia vita ho avuto un momento in cui lo specchio era un amico, un alleato, un compagno di avventura e il mio intento è stato subito quello di voler ritrovare quello stato di beatitudine e di equilibrio davanti allo specchio.
Osservando mia figlia in quel passaggio, mi sono resa conto che lo specchio non fa altro che testimoniare e riflettere la grande magia dell’esistenza.
Guardando lei mi sono detta che:
Anche io esisto perché posso vedermi, ri-conoscermi e avere la sicurezza di essere “quella cosa lì”, in qualsiasi momento, luogo o stato io mi possa trovare. Io sono, non potrei essere diversamente da come sono e la mia vita è dono.
Credo che questa accoglienza mi abbia restituito la grandezza del mio essere unità e il mio diritto all’unicità che mi contraddistingue.
Una lezione dalla semplicità disarmante e nuda come solo la verità sa essere, ma io me ne ero dimenticata.
Dalla lezione vissuta attraverso gli occhi vergini di mia figlia, ho iniziato a rendermi conto che l’appuntamento con lo specchio è uno dei pochissimi rituali destinato a perpetuarsi in ogni giorno della mia vita, con costanza, ripetitività e certezza. Riuscire a viverlo con gratitudine e consapevolezza può restituirmi qualcosa di prezioso per conoscermi, sapere come sto, cosa succede dentro di me e interrogarmi su chi voglio diventare. La meraviglia è che questo può avvenire ogni giorno.
Non è sempre una passeggiata di salute, diciamocelo, ma questo atteggiamento mi consente di intravedere direzioni, di dedicarmi attenzioni e di dare forma a intenzioni positive.
Mi sono accorta che nel guardare la mia immagine riflessa la maggior parte delle volte non prestavo reale attenzione a quello che appariva.
Guardavo l’apparenza, ma non l’apparizione.
Nel dialogo con lo specchio si è spesso sordi. Si ascolta la propria verità, senza aprirsi ad accogliere una storia diversa.
Si cerca conferma dei difetti che si conoscono, silenziando la versione più autentica di sé e l’opportunità di quello siamo già.
Ti chiedi se ora io sia sempre soddisfatta dell’immagine che mi rimanda lo specchio?
No, certo che no.
Capita (e capiterà) ancora, che nel confronto mi senta inadeguata, imperfetta o incompleta, ma è proprio in quel momento che mi ricordo di interrogarmi, ascoltarmi, chiedermi cosa succede, come sto, cosa vorrei.
Quell’attimo merita tutta la mia osservazione.
Invece che rattristarmi o arrabbiarmi con lo specchio, colgo l’offerta di potermi fermare a riflettere e mi sento grata di poter imparare, ogni giorno, qualcosa di me che prima non conoscevo.
Ho appreso ad amare gli specchi quando quando ho compreso che la mia immagine riflessa ha sempre qualcosa di nuovo da raccontarmi e posso affidarmi.
Oggi posso dirti che lo specchio è come un vento di primavera:
- Alito dolce e ispirazionale se interrogato da intenzioni costruttive.
- Soffio spietato e crudele quando il suo messaggio è filtrato da giudizi, stereotipi o aspettative alimentate da canoni estetici passeggeri.
Come il vento di primavera, la relazione con lo specchio è volubile, vulnerabile, correlata al nostro stato interno e dalla quantità di aria e di luce presenti nelle stanze dell’anima.
Continuo a imparare, ogni giorno e scopro che dialogare con lo specchio è anche una questione di verbi.
Invece di usare le voci dell’avere, che con facilità mi portano a sentire ciò che manca (non ho gambe belle, un viso regolare o una bella cera…) posso utilizzare in positivo le forme dell’essere e allora:
“Io sono: Elena, luce, amore, abbondanza, cambiamento, crescita”
e ancora quelle del sentire
“Oggi riconosco di sentirmi allegra, spensierata, libera, triste, arrabbiata…”
Nel dialogo le parole non sono solo rumori.
Le parole sono importanti, creano frasi, generano storie e manifestazioni concrete della tua verità.
Molta della nostra felicità e della realtà che contribuiamo a creare dipendono dalle storie che ci raccontiamo.
Tu che storia vuoi scrivere per te stessa?